Con cadenza regolare, le corti costituzionali, le corti supreme e le giurisdizioni internazionali (ad esempio, CEDU, CGUE) emettono sentenze che destano l’interesse del pubblico, rappresentando un’eccezione rispetto alla serenità derivante dal tecnicismo giuridico delle quotidiane attività giudiziarie, che tende a risultare meno coinvolgente per coloro non direttamente interessati a una specifica questione.
Quando si verificano casi di questo tipo, come la sentenza della Corte Costituzionale n. 2/2024, si possono generalmente individuare tre aspetti principali attorno ai quali ruota il dibattito giuridico: (i) l’emittente della sentenza, (ii) la robustezza del ragionamento e la sua validità giuridica, e (iii) gli effetti. Le angolazioni attraverso cui viene condotta l’analisi devono essere diverse, soprattutto quando si cercano argomenti per arrivare a una conclusione, piuttosto che argomenti per sostenere una conclusione già preconcepita prima di sviluppare il ragionamento.
Nel contesto specifico della sentenza n. 2/2024 della Corte Costituzionale, la questione centrale riguarda il fatto che la Corte di Giustizia non ha mai espresso un parere su questo specifico argomento. La domanda cruciale a cui è necessario rispondere con argomentazioni giuridiche costituzionali è: perché un certo cittadino non può candidarsi alle elezioni presidenziali del 2024? La responsabilità di fornire una risposta spetta principalmente alla Corte Costituzionale, e spetta ai singoli valutare se le argomentazioni presentate siano convincenti o meno. Tuttavia, tale valutazione dipende anche dalla lente attraverso la quale si legge la Sentenza n. 2/2024, una delle quali è la democrazia costituzionale. Le considerazioni che presenterò di seguito non intendono rappresentare un’analisi giuridica, ma piuttosto alcune riflessioni basate sui concetti di diritto costituzionale, che cercherò di discutere evitando il gergo specialistico, per invitare alla riflessione e auspicando che possano risultare utili ad altri interessati all’argomento.
La sentenza della Corte Costituzionale n. 2/2024 contiene un ragionamento che è specifico per un intervento di ultima istanza, fungendo da ultima leva per salvaguardare l’ordine costituzionale. Molte delle considerazioni della Corte Costituzionale illustrano i principi fondamentali che disciplinano l’organizzazione della nostra comunità. Queste non sono semplicemente idee filosofiche, ma, essendo sancite nel testo della Costituzione, costituiscono norme giuridiche, cioè regole di condotta vincolanti. La specificità di molte norme della Costituzione è che inizialmente possono apparire vaghe, poiché il loro contenuto (cioè il comportamento da seguire) non è immediatamente evidente dalla lettura del testo, ma richiede un ampio processo di interpretazione. Questo tipo di norme viene definito principi giuridici generali: pur essendo regole vincolanti, esse includono un elemento distintivo: i principi giuridici generali indicano un obiettivo da raggiungere o un valore da tutelare senza imporre una soluzione specifica per un caso particolare. Quando la Costituzione rumena afferma, all’articolo 1, paragrafo 3, che ‘la Romania è uno Stato di diritto’, la legge fondamentale non si limita a descrivere lo Stato rumeno, ma impone comportamenti specifici (ad esempio, in uno Stato di diritto, l’adesione alla supremazia della Costituzione, il rispetto dei diritti fondamentali e la limitazione del potere arbitrario attraverso leggi chiare e prevedibili sono obbligatori). Questi presupposti si applicano anche al concetto di democrazia costituzionale, esplicitamente menzionato nell’articolo 1, paragrafo (4) della Costituzione rumena. La democrazia costituzionale indica il sistema attraverso il quale il potere è esercitato all’interno di questa comunità. È un sistema in cui il potere appartiene al popolo, ma viene esercitato nel rispetto del quadro giuridico delineato dalla Costituzione e, generalmente, in modo indiretto, attraverso organi rappresentativi. La Corte Costituzionale, in qualità di custode della supremazia della Costituzione, ha il compito di tutelare questo sistema. La protezione del sistema non è un obiettivo fine a se stesso: il sistema di democrazia costituzionale è stato creato per salvaguardare la libertà e la dignità umana. In diritto, il concetto di democrazia non si riferisce solo alla partecipazione dei cittadini al processo elettorale, ma implica anche ‘il fondamentale rispetto della dignità umana e dello Stato di diritto’. Qualsiasi azione che compromette la dignità umana è considerata un atto antidemocratico.
Sulla base delle norme presenti nelle leggi fondamentali, in particolare quelle che si manifestano sotto forma di principi giuridici, tutte le corti costituzionali hanno sviluppato un arsenale concettuale che consente loro di intervenire e rispondere a questioni sempre più complesse man mano che si presentano. Una sentenza degna di nota è la decisione Weiss della Corte Costituzionale federale tedesca, in cui la giurisdizione costituzionale ha dichiarato inapplicabile una sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea all’interno della Germania, al fine di tutelare l’ordine costituzionale, generando un’onda d’urto nel panorama giuridico di quel periodo.
L’adozione di un ragionamento innovativo da parte di una Corte Costituzionale, fondato principalmente su principi fondamentali, con effetti imprevedibili e potenzialmente in grado di mettere in discussione regole e pratiche consolidate, dovrebbe essere intrapresa solo in situazioni di emergenza, quando sussiste un reale pericolo per il valore che la giurisdizione intende tutelare, con uno scopo preciso, rispettando la proporzionalità e presentando argomentazioni solide.
Dalla lettura della Sentenza n. 2/2024, emerge che la giurisdizione costituzionale ha avvertito la necessità di intervenire a difesa della democrazia costituzionale, in particolare per proteggere quello che è stato precedentemente designato come il sistema stesso di organizzazione dell’esercizio del potere, il quale si basa sulle regole delineate nella Costituzione. Se questo è l’obiettivo, sembra giustificato.
Tuttavia, è altrettanto vero che almeno tre aspetti sollevano dubbi riguardo alla solidità del meccanismo impiegato.
Il primo aspetto è l’evidente interpretazione estensiva delle condizioni di eleggibilità: qualsiasi condizione imposta a un diritto fondamentale (il diritto di essere eletti) deve essere interpretata restrittivamente, poiché, in materia di diritti fondamentali, la regola generale è il riconoscimento del diritto, non la sua soggettivizzazione. Anche ammettendo che ci sia un fondamento costituzionale per la condizione implicitamente dedotta dalla Corte Costituzionale, il riferimento alla norma riguardante il giuramento di fedeltà nel caso del Presidente della Romania appare eccessivamente remoto. Giustificazioni molto più solide avrebbero potuto essere rinvenute sia nella Costituzione rumena che nella vasta giurisprudenza della CEDU, la quale sottolinea che il diritto alla partecipazione elettorale non è illimitato. In ogni caso, per mantenere la democrazia costituzionale, non possono essere usate pratiche arbitrarie: è necessario dimostrare che il potere esercitato (indipendentemente dal suo scopo) sia a sua volta incardinato in norme giuridiche.
Il secondo aspetto riguarda l’espansione della giurisdizione della Corte Costituzionale: vi è una tendenza naturale tra le corti supreme ad estendere le loro competenze, in modo esplicito o sottile, incluse le corti costituzionali e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Tuttavia, la premessa da cui si deve partire dovrebbe essere quella di limitare le competenze, non di ampliare. Le disposizioni dell’articolo 146, lettera f) della Costituzione (che costituiscono la base della competenza della CCR) stabiliscono quanto segue: la Corte ‘assicura il rispetto delle procedure per l’elezione del Presidente’. Il verbo ‘assicurare’ non sembra essere stato scelto casualmente dal legislatore costituzionale. Da ciò si può dedurre un’implicita limitazione del potenziale intervento della Corte Costituzionale nel processo di elezione presidenziale. La Corte Costituzionale deve verificare che il gioco democratico rispetti le regole costituzionali e astenersi dall’elaborare nuove regole durante il gioco.
Se la sentenza della Corte Costituzionale contempla l’idea di regolare la partecipazione elettorale mediante la legge, e se la Corte amplia la sua giurisdizione per analizzare azioni specifiche di un candidato, allora la Corte stessa dovrebbe operare nel rispetto delle regole stabilite a livello costituzionale. Anche con lo scopo di difendere l’ordine costituzionale, la Corte non può agire al di fuori di questo quadro costituzionale. Anche se il legislatore non ha previsto alcuna procedura contraddittoria (ad esempio, la possibilità per un candidato di fornire chiarimenti alla Corte in merito al reclamo presentato), la prassi precedente della Corte Costituzionale ha indicato che dovrebbe essere dato privilegio al diritto alla difesa all’interno di questo tipo di procedimento.
Interpretata attraverso la lente della democrazia costituzionale, la Sentenza n. 2/2024 sembra giustificare il diritto alla difesa all’interno di questo tipo di procedura. Sembra anche giustificare uno scopo legittimo che qualsiasi giurisdizione costituzionale potrebbe perseguire, in quanto garante della supremazia della Costituzione, ovvero la protezione dei valori fondamentali su cui si basa la democrazia costituzionale. Al di là delle argomentazioni giuridiche che possono essere oggetto di discussione, ci si chiede se il pericolo individuato dalla Corte Costituzionale per la democrazia costituzionale sia realmente così elevato da giustificare una soluzione radicale che si fondi giuridicamente sull’intero arsenale dei principi fondamentali costituzionali.